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la forma delle parole · 2 le parole che scrivo

Gamma seriale: forma, gli archetipi

Le radici antiche e l’evoluzione


2.6.2 gamma seriale: forma, gli archetipi
Le morfologie latine fondamentali, per significativi parziali capi cronologici.
Abbiamo fin qui enunciato, nei tratti paradigmatici, come l’aspetto delle nostre lettere sia il risultato di un continuum evolutivo. A partire dai pittogrammi arcaici, attraverso parallele forme fonetico-ideografiche e poi proto alfabetiche, si sono progressivamente sintetizzate identità figurali di corrispondenti sonori, sviluppandosi in relazione a tecnologie e contesto culturale. Ogni epoca reca stati distintivi di questo processo ed è, al contempo, traguardo e punto d’avvio di nuovo sviluppo. Qui più che altrove, vale la legge che la piena comprensione dell’odierno non può prescindere da una adeguata consapevolezza delle radici.

La disamina paleografica minuta del percorso che conduce dai precursori alle forme attuali, tema affascinante e di grande illuminazione, non è tuttavia di queste righe, orientate a competenze più generali e applicative. Riduciamo così ai soli capisaldi essenziali la descrizione dell’evolvere che ha portato alle forme oggi in uso, aggiungendo alla riflessione appena qualche appiglio di sostanza. L’auspicio è di andare almeno un poco oltre le trite cadenze che ridondano approssimative in gran parte delle proliferate trattazioni di materia tipologica, le quali inspiegabilmente abbondano, specie nel web copiaincollato.1



precursori e romani
Le morfologie dell’alfabeto latino, proprio del nostro contesto culturale, originano da quelle romane antiche e dalle loro successive evoluzioni. Di precursori fenici, greci ed etruschi — con datazioni rispettivamente riconducibili ai secoli XIV-XI, X-VIII, VII-VI a.C.2 —, esse trovano la loro prima identità nella forma maiuscola d’impronta epigrafica. Geometrie lineari, omogenee a piena altezza, in cui le direttici primarie sono aggregate secondo tre configurazioni fondamentali: triangolare, quadrangolare, circolare. Forme originariamente graffite o incise, e per questo nette ed essenziali, adattate fin dagli antecedenti più arcaici ad essere cavate dal pieno con strumento rigido ed atto «sintetico»; caratteristica, quest’ultima, che tuttora le rende, nella declinazione «dritta», strutture iniziatiche dell’apprendere lo scrivere; e ciò a prescindere da valenze pure di leggibilità e fluidità, maggiori rispettivamente nel minuscolo e nella dinamica corsiva.
precursori
Anche osservando da distinte prospettive, il maiuscolo assume sempre posizione archetipa: è infatti la forma radice, primo approdo del processo di distillazione del segno fonetico e, al contempo, riferimento al quale ogni ulteriore sviluppo formale può essere ricondotto. La tradizione successiva non a caso vi associò il nome-attributo «capitale» — che sta a capo, all’inizio, prima —, non solo per precedenza d’origine, ma anche per le gerarchie che giunse a rappresentare nell’organizzazione della pagina scritta. Caposaldo è la tipizzazione ufficiale ed alta delle epigrafie monumentali di Età Augustea — a cavallo dell’Anno Zero —, le cui vestigia ne sono memoria ma anche modello tuttora esemplare.
capitale epigrafica
Quella maiuscola lapidaria, cui si attribuisce il nome di Capitale Quadrata per le distintive proporzioni, si tradusse con caratteristiche di maggiore fluidità e compattezza negli usi documentali e pratici, variamente tracciati ad inchiostro. Erano praticate, evidentemente, anche scritture destinate a funzioni più comuni, di minore impegno esecutivo e di maggiore rapidità, o comunque non lapidario monumentali.3 In relazione ai contesti, si scriveva con pennello o calamo, su superficie muraria o su rotolo in papiro — comunemente — e, in epoca più tarda, anche sui primi codici in pergamena; così come per lungo tempo si continuò ad annotare sgraffi corsivi su argille e tavolette cerose.

Assonante con la maiuscola scolpita, per proporzioni e assetto chiaroscurale, vi era dunque la posata Capitale Libraria, la forma di maggior pregio riservata ad usi letterari e documentari alti. Di austera regolarità e marcati contrasti, essa coesiste con la più sciolta e modulata Rustica, detta anche Attuaria, poiché applicata in contesti pratici ancorché variamente pubblici o formali. Entrambe presentano assi principali ortogonali e lettere scandite senza legature, alla foggia lapidea.
capitale libraria e capitale rustica
Il fatto di essere tracciate a inchiostro, quindi con gesto più rapido e continuo di quello scultoreo, si riflette nell’aspetto delle lettere: una diversa sintesi di segno ed accentuate variazioni di spessore dei tratti che, nella Rustica, si estende alla verticalizzazione delle proporzioni e alla fluidità delle terminazioni d’asta. Si tratta, in sostanza, di «concessioni gestuali», di misurati accenni dinamici. Questi ultimi risultano viceversa amplificati nella scrittura propriamente Corsiva, presente parallelamente in associazione ad usi pratici minuti. «Corsiva», stilata cioè currenti calamo — a penna corrente, si potrebbe dire —, di corsa appunto, ma anche con fisiologiche continuità di tratto. In origine maiuscola anch’essa, nell’evoluzione più tarda — la Corsiva Nuova (III sec.) — costituirà di fatto il primo avvio allo sviluppo della codifica minuscola, sostituendo all’altezza omogenea delle lettere alcune componenti ascendenti e discendenti rispetto all’allineamento di base. 
corsive romane
Se il maiuscolo epigrafico ha ragione strutturale in un atto scrittorio composito e protratto, la forma corsiva è esito di una progressione dinamica, di un ductus — il movimento che traccia il segno — di opposta natura. Essa ben si palesa nello sforamento dallo schema bilineare, nello svincolamento dagli essenziali geometrici — cerchio, quadrato, triangolo —, nella sintesi sull’asse orizzontale e nello slancio su quello verticale. Una scrittura appuntata, di segni contratti e rapidi. La velocità della minuta si concretizza nella progressiva stilizzazione delle singole forme, con riduzione delle soluzioni di continuità: tratti più brevi, spesso curvati, che via via conducono alla concentrazione delle proporzioni su un corpo portante verticalizzato, stirato dalla contrazione orizzontale e dall’opposta estensione di ascendenti e discendenti. Vi è la tensione di attacchi e troncature verso una legatura ancora in fieri, risolta come assiepamento di caratteri che permangono tuttavia staccati. Si scorgono, infine, primi incoerenti esempi di inclinazione dell’asse verticale delle lettere, anch’essi di radice evidentemente dinamica.

In sintesi, i corsivi e i minuscoli che oggi conosciamo trovano nelle scritture latine minute la loro prima origine, l’espressione dei distintivi fondamentali che avranno poi sedimentazione nello sviluppo storico. Per il corsivo: la verticalizzazione, l’avvicinamento delle lettere e l’inclinazione dell’asse verticale. Per il minuscolo: una morfologia sviluppata su un corpo portante di proporzione ridotta, con associate ascendenti e discendenti.

Preservando da fraintendimenti, vale la pena ribadire ancora una volta quanto già estesamente espresso nel capitoletto precedente, in merito al molteplice significato della dizione «corsivo», che nella lingua italiana ha di necessità compiuta specificazione in stretta relazione al contesto. Esso infatti è associabile alla gestualità — «espressa» e più o meno esplicitamente «legata» — caratteristica di gran parte delle grafie stilate, siano esse libere o fissate in prototipi calligrafici; ma «corsivo» è anche qualificazione in egual modo propria delle tipizzazioni per la stampa contraddistinte da asse verticale inclinato4 e, nei casi compiuti, da talune morfologie di eco cancelleresca, secondo la sintesi rinascimentale. Dunque trattando delle Corsive Romane, il riferimento sarà alla prima accezione del termine, la seconda invece si troverà sollecitata a proposito di alcune tipizzazioni aldine, oppure dell’«inclinato» complementare al tondo in una data famiglia di caratteri.



dalle onciali alla carolina
Benché Libraria e Rustica (di poco più longeva) persistano in uso corrente per lungo tempo — con esempi residuali che datano quasi alle soglie dell’Anno Mille, e citazioni che occasionalmente si inoltrano fin nel Basso Medioevo —, alla progressiva disgregazione dell’Impero Romano corrispose anche il frantumarsi dell’unità stilistica delle scritture, specie documentarie e amministrative, aprendo il varco a derive locali e singolarità. La necessità di avere forme distintive della cristianità si pone in questo solco: attraverso prestiti dalle grafie maiuscole del greco biblico — coesistenti nelle provincie romane del Nord Africa — si avvia lo sviluppo delle linee più rotonde e morbide della scrittura Onciale e Semi-onciale (IV sec.), di seguito a confronto. In particolare con quest’ultima — che molto trae dalla Corsiva Romana —, si giunge ad una più compiuta sistematizzazione del minuscolo, sostituendo organicamente l’allineamento su rigo tetralineare a quello «storico» bilineare,5 proprio delle Capitali ed ancora dell’Onciale.
onciale e semionciale
Rapida e leggibilissima, la Semi-onciale avrà grande diffusione e impatto, divenendo radice delle successive calligrafie minuscole di declinazione monastica e nazionale. Seguendo il flusso della storia giungeranno infatti ad articolarsi «segregate» e distintive produzioni alto medievali (VI sec.), le cosiddette Precaroline. Pure con elementi di variabilità e contaminazione, legati inevitabilmente a retaggi di tradizione ed ai flussi delle persone, si fanno prevalenti le tipicità delle prassi calligrafiche dei diversi ordini monastici e delle diverse estetiche regionali. Una produzione alquanto articolata, legata appunto ai luoghi di cultura, ma anche di potere. Nell’Italia centro settentrionale si ebbe così un frammentarsi di forme scrittorie: tra le più note e pregevoli quelle delle abbazie di Bobbio e di Nonantola. Precaroline di assai maggiore diffusione furono però la Beneventana, in Italia centro meridionale, la Merovingica in Francia, la Visigotica nella penisola iberica, la cosiddetta Insulare (o Irlandese) nelle isole d’oltre Manica. Qui sotto, rispettivi brani d’esempio.6 
precaroline
La successiva Minuscola Carolina (VIII-IX sec.) omogenizzerà nuovamente l’aspetto «ufficiale» della scrittura nell’Impero di Carlo Magno, in un esteso processo di riunificazione culturale svincolato da limiti locali e particolarità monastiche. Riallacciandosi al modello onciale, la Carolina ne conserva l’ormai sedimentata articolazione minuscola, epurando la sovrabbondanza di legature d’apporto calligrafico e temperando le tensioni dinamiche. Un aspetto posato, semplice ed immediato, sostanzialmente uniformato tra produzioni librarie e documentali, in cui si chiarifica e assesta l’identità morfologica delle lettere, specie di alcune (es. a, g, n, r) che risultavano ancora arcaiche o incerte; si amplifica l’occhio medio7 riassorbendovi ogni verticalismo, e si contiene coerentemente la misura di ascendenti e discendenti che assumono un aspetto più ordinato e nitido. Evidente una nuova attenzione alla scansione del testo sulla pagina e, in generale, alla leggibilità: con un minor ricorso alle abbreviazioni convenzionali e una cura più sistematica della punteggiatura. Significativa, benché arcaica, l’introduzione di un segno d’interrogazione in luogo della notazione «qo» che i copisti utilizzavano di prassi ad indicare appunto la quaestio: per ora è una linea soprascritta, liberamente ondulata che ascende da un cenno puntuale. Una punteggiatura ancora in nuce, ma il palese avvio di uno schema destinato ad essere meglio ripreso e sistematizzato nei secoli successivi. Con la Carolina, dichiarata disposizione programmatica è il recupero di ordine, proporzione e chiarezza della tradizione romana antica, dunque di efficienza funzionale ed autorevole universalità. Seguono alcuni esempi di distinta area e cronologia, ad illustrazione della sostanziale omogeneità formale, pure nella particolarità delle interpretazioni; a chiudere tre casi di notazione interrogativa.
carolina
Sebbene la Carolina estenda impronta anche sulle forme corsive con certa mitigazione degli elementi dinamici, e nonostante produca tipicità che coinvolgono anche il più tradizionale maiuscolo di iniziali e capilettera,8 il suo maggior rilievo sta nell’essere il passaggio evolutivo in cui si fissano i tratti fondamentali e durevoli che ritroviamo ancora nell’aspetto dell’attuale tondo minuscolo a stampa. Ed infatti essi sopravvissero alle successive tipizzazioni librarie del secondo Medioevo — le cosiddette minuscole gotiche — che rispetto ad equilibrio, respiro, chiarezza e «rotondità» carolingia, tendevano spigolosamente al verso opposto.

Di nuovo, l’evoluzione degli strumenti della comunicazione e della perpetuazione della conoscenza ricalcheranno gli sviluppi del potere; di nuovo, la particolarizzazione degli assetti, che succede all’unità carolingia così come fu per Roma, si tradurrà in una corrispondente articolazione di tipicità scrittorie.



corsive basso medievali verso l’umanesimo
Come accennato, in consonanza alla Carolina alcuna influenza si riflette anche nelle grafie corsive, che già da prodromi di influsso semionciale si erano avviate ad evolvere l’uso antico e resiliente della Corsiva Nuova romana. Maggiore omogeneità di tono, riduzione o azzeramento dell’inclinazione dell’asse verticale, formulazioni a lettere chiare e ben distinte. Indicativi gli esempi delle cosiddette scritture curiali (sec. X-XI) che già in questo solco si caratterizzano per il marcato slancio verticale di ascendenti e discendenti, traccia residuale della matrice dinamica.  
curiale
In un primo tempo ha dunque concretezza una generale attenuazione di «corsività», unita alla diminuzione degli esempi propri, in larga parte riducibili a forme posate redatte con maggiore o minore espressività gestuale. Per altro verso nel complesso delle grafie corsive, che parallelamente alle gotiche librarie si avvieranno ad affacciarsi infine all’umanesimo, inizierà a prendere corpo una tendenza, variamente interpretata, alla caratterizzazione connotativa dei diversi ambiti d’applicazione. È ovviamente un panorama di variegata casistica che segue il progressivo estendersi del bacino degli scriventi, e che evolverà con diverse caratterizzazioni stilistiche, cronologiche, funzionali, geografiche, socioculturali: dalle minute pratiche e informali, che permangono di caratterizzazione rapida, alla scrittura cosiddetta mercantesca, liberamente corsiva ed a tratti leziosa, alla notarile, più rotonda, aerea e scandita, fino a dar luogo a forme cancelleresche, in genere di ambito istituzionale. Negli sviluppi più tardi prenderà infine corpo una cancelleresca di maggior slancio che, su un occhio medio ampio e nitido, prolunga ariosità di legature e svolazzi. Di genesi italiana, essa diverrà forma diplomatica estesa a tutta Europa, base per le evoluzioni rinascimentali e quindi barocche. In particolare, da quelle esercitate per la cancelleria pontificia deriveranno quasi senza mediazione gli archetipi xilografici rinascimentali, destinati a tradursi presto nei primi tipi mobili corsivi. A questo proposito va ribadito che, a prescindere dalle ascendenze ispiratrici, il cancelleresco consta di natura propria da non confondersi con la grafia corsiva, così come il corsivo a stampa non è assolutamente da intendersi banalmente uno «scritto». Seguono brani di: notarile (1320), appunto documentale (1410), mercantesca (fine XV), corsiva semigotica protoumanistica, cancelleresca xilografica.

corsive medievali e protoumanistiche



gotiche librarie
Sul versante delle scritture posate e librarie, alla Littera Carolina seguono le Gotiche. Forme condensate e fitte, quelle del Textura, la gotica più diffusamente nota e riconoscibile (XI sec.). Letteralmente tessitura, scrittura tessuta, che aderisce alla sviluppata esigenza di stesure uniformi, rapide e ripetute, oltre a consentire una maggiore densità sul prezioso supporto di pergamena. Un ritmo serrato, che nella fitta ripetizione di medesimi accenti, pure spezzati e contrastati, genera un aspetto quasi monotonale, appunto di trama su ordito; ma è soprattutto una scrittura informata ad un ductus «pratico» e facilmente acquisibile: di nuovo verticalizzato, di marcata compattezza e meccanica serialità, con elementi lineari e sintetici, e pochi tratti a differenziare le diverse lettere.9 Anche l’ortografia vi compare contratta, con sistematica ricomparsa di abbreviazioni, legature di sintesi e convenzioni.
textura calligrafico
È la risposta ad un’incrementata pressione su quantità e accessibilità del materiale librario, prodotta da un bacino d’utenza riunificato ed ampliato, sia geograficamente che per tipologia. Il concorso delle vicende che dall’Anno Mille si articolarono fino alla chiusura dell’epoca medievale — il Sacro Romano Impero, le Crociate, la progressiva estensione dei flussi di commerci e persone, lo sviluppo delle lingue volgari, ecc. — determinò il fiorire di poli laici ed universitari della cultura, affiancati ai luoghi tradizionali: in particolare per la filosofia e il diritto. Il generarsi di nuove funzioni, di nuovi modi, di nuovi contenuti che abbisognavano della pagina scritta, si concretizzò, in sintesi, in nuove necessità di documentare e documentarsi. Nel Textura, tuttavia, le doti pratiche che si accompagnavano all’uniformità e alla compattezza recavano, quale verso della medaglia, una leggibilità complessivamente difficoltosa ed una applicazione eccessivamente rigida.10 Specie in contesti più comuni e localizzati, questa matrice trova quindi interpretazioni e varianti più fluide: Schwabacher (o Bastarda), e poi Fraktur, ibrido tutto germanico; in Italia si hanno le ancora più addolcite Bononiensis e Rotunda, con memoria della tradizione onciale.
medievali posate
Capita che queste seconde scritture, a volte per le particolarità nazionali, vengano accomunate alle medievali di epoca precarolina ma, come detto, la radice compositiva e formale, oltre che successiva e discosta, è tutt’altra. Il Textura, infatti, aveva un’anima autonoma e nuovissima, di cui i contemporanei percepivano distintamente la modernità. Ed infatti essa dimostrò di recare in nuce essenziali fermenti del futuro sviluppo della tipizzazione. Per noi, ovviamente, il sentimento è contrario, anzi in genere ne cogliamo in modo acuito l’opposizione alle forme «romane» abituali. Ma proprio quelle caratteristiche che oggi ce lo rendono ostico si riveleranno, a qualche secolo dalla loro introduzione in scrittura, cause assai favorenti dell’evolvere della riproduzione a stampa; a pari grado di quelle opposte identità morfologiche caroline che, viceversa, ci risultano più immediate. Orafi incisori, più che fini calligrafi, i prototipografi ne colsero infatti le caratteristiche di accentuata modularità quali basi essenziali per produrre i primissimi tipi mobili: che appunto erano artefatti seriali e uniformi, ed in questo recavano rivoluzionaria innovazione!

Creati i prototipi, applicata l’idea, la storia seguì il suo naturale corso selettivo. Questioni geografiche a parte, non ci volle molto che pratica e tecnologia evolvessero, così che la serialità giungesse a potersi declinare anche in quell’estetica «classica» che spirito del tempo ed uso sancirono infine essere più efficace, più ispirata e gradita... dunque diffusa.

In effetti l’aurea anima antica, il fascino di misura e proporzione classiche, esercitava richiamo mai sopito. Si può interpretare anche in questo senso il fatto che nella nostra penisola, dove il modello risultava naturalmente più vivo e presente, certe «asprezze» medievali abbiano sempre trovato una relativa attenuazione, secondo linee più rotonde ed equilibrate, sia nelle Precaroline sia poi nelle Gotiche. Già Onciali e Semi-onciali, nell’evolvere il disegno «romano», ne avevano conservato la scansione chiara e ben delineata. La matrice fu di nuovo ripresa dalla minuscola Carolina, con l’intento — dichiarato — di mutuarne autorevolezza e riconoscibilità. Infine, anche attraverso quest’ultima, vi si ispirarono i recuperi umanistici e rinascimentali (XIV-XV sec.), che nell’antico individuavano apice ormai intangibile di incorrotta perfezione.



protoumanesimo e rinascimento: verso la lettera stampata
Ad iniziare dal Petrarca, e poi per tutti quelli che accolsero e svilupparono il suo protoumanesimo, l’approccio alla classicità si fa più autentico e ispirato e, perlomeno nelle intenzioni, meno parziale di quello generalmente attribuibile ai predecessori medievali; certamente meno ingenuo. Si va alle fonti, direttamente. Quando ciò non è possibile, si confrontano i documenti, applicandosi a discriminare laddove la mediazione si rivela infedele, o il copista non all’altezza. Si collazionano documenti, trascrivono testi, raccolgono biblioteche: famosa e corposissima quella accumulata dal Petrarca. Uno spirito che, come è noto, per oltre due secoli coinvolge entusiasticamente tutti gli ambiti culturali. Seguono esempi autografi/idiografi petrarcheschi.
autografi/idiografi petrarcheschi
La grafia di Petrarca, che convenzionalmente si è soliti citare quale capostipite della Littera Antiqua — il modello dell’attuale romana tonda minuscola —, è in realtà consapevolmente una semigotica. Troppo avveduto del tema per fraintenderla come originale antico, Petrarca la trasse intenzionalmente dalla minuscola Carolina, che risultava pienamente assonante con il suo spirito umanistico, ma anche con il proprio tempo. Specie negli iniziali esempi autografi, infatti, il superamento della medievalità s’intravvede non ancora del tutto compiuto.

Il traguardo sarà nei fatti raggiunto in maggior tempo e a più mani: attraverso l’opera sua, quella dei copisti che supervisionerà nella redazione dei propri scritti, e il lavoro di altri umanisti di cui influenzerà anche indirettamente lo spirito, con le sue epistole e la fama. Coluccio Salutati, Poggio Bracciolini, Niccolò Niccoli, fra le figure più significative e citate. Salutati e Bracciolini di tradizione associati in particolare allo sviluppo del minuscolo tondo, Niccoli al corsivo e al cancelleresco. Qui sotto frammenti di apografi petrarcheschi maturi.
apografi petrarcheschi
In realtà, poiché la storia assai di rado procede monoliticamente ma evolve per esperimenti, per intrecci, sovrapposizioni e passaggi a ritroso, alla selezione delle linee di una più moderna Antiqua tonda, di un nitido ed efficiente corsivo e delle correlate capitali, concorrerà una quantità di contributi assai articolata. Essi non saranno strettamente di area toscana, ma anche della cancelleria papale e di ambito veneto, per dire dei principali. Moti d’animo, studi, produzioni, che progressivamente vanno a comporre i canoni della successiva trasposizione a stampa dell’alfabeto latino. Lo specifico porterebbe qui davvero troppo lontano dai nostri temi, ma pare ugualmente opportuno citare qualche riferimento per autonoma ricerca: il bolognese Francesco Griffo, incisore sia di tondo che di corsivo per l’innovatore editore veneziano Aldo Manuzio; il vicentino Ludovico degli Arrighi, che con Giovanni Antonio Tagliente e Giovanni Battista Palatino si lega in particolare all’evoluzione di corsivo e cancelleresco; il veronese Felice Feliciano, copista e rilegatore, riferimento cardinale per gli studi e la rivivificazione dell’antica maiuscola monumentale; il prolifico trattatista e calligrafo Giovanni Francesco Cresci, alla ricerca della vera anima antica. E molte altre figure, note e meno note, altrettanto importanti per la maturazione della nuova forma delle lettere: Guarino Veronese, Ciriaco d’Ancona, Bartolomeo Sanvito, ecc. Seguono brani esemplificativi: in particolare i primi due recano rispettivamente grafie di Felice Feliciano e Bartolomeo Sanvito.
calligrafi rinascimento
In sintonia con il totalizzante spirito rinascimentale, lo studio del disegno delle lettere trova spazio anche in altri contesti disciplinari. Per esempio in pittura, con lapidi e cartigli di Andrea Mantegna, in architettura, con le epigrafie di Leon Battista Alberti, nelle scienze matematiche, con gli studi di proporzione di Luca Pacioli. Di quest’ultimo si riporta lo schema per la costruzione della lettera «S» (sopra), nel confronto con medesimo precedente studio di Feliciano (sotto).

Luca Pacioli
Felice Feliciano

Nondimeno vengono da citare, financo per la poesia, i significativi carteggi corsivi del sommo Michelangelo, che anche lì non ne smentiscono il tratto esemplare: lucido, grandioso, irripetibile.

Michelangelo
La tipizzazione per la stampa sarà dunque diretta derivazione dell’idealizzata interpretazione umanistico-rinascimentale dell’Antico. Di un aureo storico di cui s’intese recuperare lo spirito e infine sistematizzare organicamente forme, misure e proporzioni. Un rigore in realtà riscontrabile solo parzialmente e solo nei casi aulici del modello antico, che viceversa possiamo diffusamente osservare caratterizzarsi, anche nel lapideo aureo, di alterne varietà e consistenze più fluide e meno categoriche. Di seguito alcuni spolveri esemplificativi.

casi lapidario romano
Nel corso del XVI sec. si stabilizza e arresta la dinamica macroscopica delle tipologie alfabetiche fondamentali per la stampa. Queste ultime continuano ovviamente ad evolvere sul piano stilistico e funzionale, così come su quello tecnologico e della sistematizzazione dei repertori; esse tuttavia si consolidano rispetto a taluni riferimenti morfologici, i quali assurgono di fatto a cardinali astratti tuttora portanti: maiuscolo, minuscolo, tondo e corsivo.



i prototipi a stampa
Benché gli innovativi caratteri mobili della bibbia gutenberghiana (1453) avessero recato l’impronta gotica e nazionale del Textura, né fossero in quella forma rimasti esempio isolato, a poco più di un decennio il riferimento egemone nella stampa è già la fisionomia «romana» e le sue strette derivazioni.

I primi volumi, detti incunaboli, poiché letteralmente culla di una stampa neonata, rincorrono l’aspetto e la fattura fisica dei codici amanuensi. Non che subito si realizzassero tirature così significative — l’ordine era al massimo di qualche centinaio di copie —, né che i nuovi libri fossero all’inizio tanto più comuni e accessibili dei precedenti, tuttavia immediatamente si era forse avvertito il distinguo di preziosità tra la copia unica ed il multiplo. Più banalmente, si sa, la lunga abitudine contribuisce ad indurre certa latenza.
textura a stampa
La storia anche qui fece il suo corso, e il libro a stampa acquisì in breve estetica propria e autonoma dignità. Ciò soprattutto in relazione ad un nuovo «specifico funzionale» non disconoscibile: il libro diventa prodotto editoriale, dunque di notabile rilevanza commerciale oltre che culturale. Si impaginano mirate selezioni in forma di florilegi, si ottimizzano formati più economici e facilmente maneggiabili — famosi gli Enchiridia in ottavo di Manuzio —, si incominciano ad organizzare embrionali sistemi di distribuzione, prende significativamente avvio il fenomeno del plagio, non solo di contenuto ma anche di forma... Davvero una rivoluzione che amplifica e moltiplica funzioni e connessioni della lingua scritta, scardinando molti dei precedenti riferimenti di qualità e valore.

Seguono estratti esemplificativi di tondo e corsivo tipografico: Sweynheym e Pannartz — Subiaco; Nicolas Jenson per Aldo Manuzio — Venezia; ed ancora per Manuzio tondo e corsivo di Francesco Griffo; infine, Claude Garamond in due successive interpretazioni del romano tondo.
romano tipografico
romano tipografico
A questo punto, delineato il quadro storico ed evolutivo dell’applicazione alfabetica, osservati meccanismi e risultanze in funzione dello sviluppo culturale e tecnologico, si potrebbe forse aver dato luogo al sorgere di qualche obiezione circa la consistenza delle critiche che qui si sono variamente espresse in merito a talune dinamiche contemporanee: in particolare verso certi scardinati usi dello strumento scrittorio, e mediale in genere. Storia insegna che dovrebbe essere riconosciuto il pieno diritto d’evoluzione anche oggi! Non sarebbe dunque sensato, reiterando fraintendimento, arroccarsi imitativamente su forme e prescrizioni «tradizionali» quando, d’evidenza, mezzi e strumenti digitali sono drasticamente mutati rispetto all’analogico, così come sono inevitabilmente mutate le sensibilità e le necessità. Tuttavia, ad esempio, nel caso storico del confronto «resistente» fra codici e incunaboli la questione atteneva un ambito essenzialmente connotativo: di sensibilità materiale, al più di sacrale reverenza per documenti e fonti poco prima quasi irraggiungibili, una sorta di suggestione affettiva per i codici vergati. Resistenza peraltro comprensibile e giustificata, ed infine dissoltasi fisiologicamente con il delinearsi della nuova natura del libro. Le odierne criticità, viceversa, non si rilevano affatto sul piano meramente estetico-materiale, né della varietà mediale. Tantomeno esse possono nascere da reazionario attaccamento a vetuste abitudini, in chi di fatto è attivamente partecipe di questa innovazione dal suo primo sorgere. All’opposto, a suggerirle è proprio l’osservazione circa l’effettiva consistenza di certe mutate forme, le quali più che innovate appaiono depresse da prassi «facilitate» e formulazioni preordinate e ridotte. Sfuggite alle potenzialità che avevano disponibili, deviate rispetto a più costruttivi obiettivi, castrate nel renderle più immediate. Una diminuzione di autonomia, di autenticità, una dissipazione di potenziale. Questo benché relative amplificazioni di massa, di intensità, di diffusione possano ingannevolmente evocare, o esplicitamente pretendere, maggiori valenze. In altre parole, qui non si vagheggiano nostalgici incunaboli digitali, alla foggia analogica, viceversa si riflette sulla funzione, sulla sostanza, sulle prospettive. L’introduzione dell’alfabeto ha dimostrato che non vi è a priori conflitto tra risoluzione comunicativa ed essenzialità, quest’ultima non è però da confondersi con appiattimento e banalizzazione.

 

 

 

gac

 

 

 

  1. In merito al corredo iconografico del presente articolo, vale chiarire in apertura che la gran parte è costituita da citazioni ed elaborazioni di fonti dirette, acquisite da originale o riproduzione identica. Nei residuali casi, dove per ragioni di varia opportunità si è fatto ricorso a frammenti non di prima mano, ci si è limitati ad estratti puntuali, comunque utilizzati in forma grafica rielaborata. Visto il senso generale della trattazione ed il carattere frammentario ed esemplificativo del condensato iconografico, in vece di riferimenti canonici, qui di assai voluminosa mole poiché legati a copiosa collazione documentale, si ritiene di offrire maggior servizio rimandando ad una selezione di ricchi archivi digitali — taluni ottimi al limite della commozione —, cui il lettore potrà fare autonomo riferimento per confronti, ricerche ed approfondimenti:
    a) https://archive.org — nella sezione «Texts» del portale statunitense «Internet Archive», forse il più vasto archivio multimediale e internet liberamente accessibile da web;
    b) https://digi.vatlib.it/ — «DVL», le collezioni digitali di libero accesso della Biblioteca Vaticana;
    c) http://www.bnnonline.it — «Biblioteca Nazionale di Napoli», selezione di riferimenti a documenti e risorse elettroniche internazionali;
    d) http://www.internetculturale.it — «Internet culturale», portale con riferimenti a cataloghi e collezioni digitali di alcune biblioteche italiane;
    e) https://www.e-codices.unifr.ch/it — «e-codices», biblioteca virtuale dei manoscritti conservati in Svizzera;
    f) http://image.ox.ac.uk — «Early Manuscripts at Oxford University», sezione dedicata della Oxford Digital Library. ^rif.
  2. Fra le tracce originarie più antiche e le forme mature, le datazioni differiscono sensibilmente; così come non sono affatto univoche le interpretazioni circa il merito e i contesti di tangenza. ^rif.
  3. Caso a sé la cosiddetta Capitale Elegante, che porta programmaticamente sul supporto scrittorio «mobile» l’aulicità delle iscrizioni lapidee monumentali; ma si tratta per lo più di riprese e citazioni di epoca tarda (IV sec.), vestite dell’aurea immagine augustea. Nella pragmatica Roma dei tempi fulgenti, infatti, la «dispendiosa» maestosità epigrafica difficilmente avrebbe potuto trovare applicazione nel registro calligrafico abituale. ^rif.
  4. Con campo grosso modo definito tra 5 e 51° secondo gli stili, tipicamente 12-18.° ^rif.
  5. Vale a dire aggiungendo agli allineamenti di base e altezza delle lettere i riferimenti, rispettivamente superiore e inferiore, dei «neonati» tratti ascendenti e discendenti. ^rif.
  6. Nonantolana, Beneventana, Merovingica, Visigotica, Insulare. ^rif.
  7. Occhio medio: la sezione verticale centrale della morfologia minuscola, da cui si dipartono ascendenti e discendenti. Corrispondente, ad esempio, alla posizione e all’altezza della lettera ‘o’. ^rif.
  8. In ragione dell’introduzione di nuovi strumenti scrittorii, taluni metallici. ^rif.
  9. Quindi facilmente correggibile: accanto a varie forme di sbiancatura o apposizione esplicita di emendamenti e postille, uno dei metodi di correzione su pergamena era l’abrasione con lama o pietra pomice. Più o meno quello che oggi si fa cancellando con la gomma. I copisti, infatti, si vedono spesso raffigurati con in una mano calamo o penna, nell’altra una lama. Alla raschiatura doveva infine seguire debita rilucidatura, eseguita con brunitoio di pietra dura (solitamente agata), ciò per evitare che l’inchiostro della successiva riscrittura penetrasse nel supporto abraso, frammentandosi. ^rif.
  10. Un aspetto in sé paradossale per una scrittura, ma è probabile in certi ambiti assecondato quale moto di reazione all’«esproprio» della conoscenza. Una sorta di difesa del monopolio del sapere — che è controllo —, certamente effettivo in relazione a talune discipline «critiche», gelosamente filtrate e custodite. In parallelo l’altro aspetto, quello fisico (possente, lineare e verticale), risulta ugualmente giustificato dalla perfetta sintonia con il generale contesto stilistico dell’epoca. ^rif.

 

 

 

«prec.  la forma delle parole  succ.»