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E così fu... «zb»!

L’inquietante, a dir poco, logo per le olimpiadi invernali 2026

Di fronte ai riferimenti identitari approntati per le prossime olimpiadi invernali 20261 il mio occhio, che mi permetto di ritenere piuttosto informato e allenato, mi suggeriva qualche perplessità. A confutazione ho così voluto sottoporre tale grafica al vaglio di alcuni comuni fruitori potenziali, seppure piuttosto sommariamente. Come avevo ipotizzato, la componente emblematica risultava di rado convenientemente intesa, talora neppure comprensibile, e in genere in restituzione giungeva il quesito: — cosa significa zb? ...o è zg?


logo Olimpiadi Milano Cortina 2026
Non serve dire che il caso potrebbe giustificatamente indurre una disamina enciclopedica, tanto è espressione della condizione di molteplici ambiti direzionali della compagine nazionale, tanto ne testimonia metodi, razione e priorità, tanto ne esemplifica i gradi di competenza e il paradigma qualitativo degli esiti. Visto il condensato, forse capiterà allora di riprendere più ampiamente questo discorso, qui però interessa affrontare solo lo specifico stretto, tratteggiando per capi principali, con immediatezza pari all’evidenza lampante delle caratteristiche con cui il «mirabile» oggetto logografico si concretizza.


nel nome il presagio

Partiamo dal nome: «Futura». Solo questo giustifica il dubbio che tale investitura possa effettivamente aver goduto di efficace filtro di competenza. L’inciampo non potrà attribuirsi certamente ad una matita, poiché anche il meno avvertito di chi appena bazzichi la tipizzazione si sarebbe ben guardato solo dal lambire la cardinale onomastica. Esistono dei capisaldi, consolidati dalla tecnica e dalla cultura, che nessun grafico si sognerebbe mai di associare ad altra cosa estemporaneamente. Per i tipi alfabetici il campo è confinabile a poco più di una decina di exempla, ben noti e studiatissimi: Futura è uno di questi, assieme ad altri come Garamond e Bodoni o, più vicino a noi, Verdana. Mai sentiti? Diversissimi per natura, vicende e costituzione, li accomuna il fatto di rappresentare altrettante tappe fondamentali nella evoluzione della tipizzazione alfabetica, cui è dovuta reverenza. Intendiamoci, non che «Futura» debba ritenersi in assoluto «titolazione» indisponibile! Ma salvo a porsi in esatta e consapevole continuità, il solo assonarne il nome in progetti che coinvolgano il segno alfabetico distraendolo con leggerezza deve ritenersi spregiudicato e in odor di blasfemia, scorretto e confusionario. Nella migliore delle ipotesi paleserebbe una disinvoltura decisamente inopportuna. Se proprio volessimo addentraci nel tema, si potrebbe argomentare di particolari o, con maggior respiro, della differenza tra invenzione e trovata, tra rigore geometrico e scarabocchio, tra essenza e accidente: il gravoso impegno ci è evitato dall’evidenza di infausti doppi e tripli salti mortali promozionali a tentare attribuzioni a partire da dato parziale, ibrido e inesatto. E pensare che proprio lì migliori argomenti si sarebbero potuti cavare. 


pronto per essere indossato
Quando con i primi pc comparvero quei programmini per fare scritte e striscioni in un paio di passaggi parve di avere a disposizione un giochino magnifico. Chiunque avesse avuto una stampante difficilmente avrebbe potuto resistere alla tentazione di appiccicare da qualche parte, almeno una volta, un cartello fantasioso di produzione propria. In realtà si era ancora lontani dal fare grafica tutta al computer e per diverso tempo si sarebbe continuato a dar giù di lastre e lastrine, china, retini, letraset, pellicola... E se il poter strizzare, stirare, deformare... lettere e righe di testo senza sforzo sembrava qualcosa di miracoloso, par di vedere i vecchi di tipografia aggrottare le ciglia sopra piccoli occhiali appuntati sul naso. Quella solfa stereotipata, rigida, sterile e ripetitiva aveva ben poco a che fare con il mestiere. Anche oggi che il mezzo grafico digitale è egemone e potentissimo, gli equilibri restano immutati. Per quanti strumenti, filtri ed effetti si possano avere nell’abaco di una applicazione essi possono agevolare, talora ispirare, ma sono mani e idee a dare anima all’opera. Sviluppare, equilibrare, affinare, sperimentare… comporre gli strati in un processo che può virare dall’ipertecnico al quasi alchemico è quello che va fatto oggi così come è sempre stato. Nulla di peggio dunque che usare una pre elaborazione in modo scontato, tal quale o poco più (e qui anche male): ed ecco appunto, in un paio di click, subito pronto uno zb 3D!


macchiette
Ricerche sempre più sofisticate indagano da decenni i processi mentali di acquisizione e di elaborazione visiva delle forme. Se con le macchie di Rorschach l’attenzione è posta sui secondi, vale a dire sulla soggettività del meccanismo interpretativo, nell’espressione grafo alfabetica la chiave prioritaria è invece nel primo accento: l’oggettiva intelligibilità del segno, l’efficacia di riconoscimento e decodifica. Certo, nella definizione di un logotipo, di un emblema o comunque di un grafismo simbolico può talora avere parte strategica un seducente margine di significati autoriferiti o non dichiarati esplicitamente. È di necessità, tuttavia, che programmaticamente essi infine non risultino preminenti rispetto ad un quadro referente certo e immediato. C’è poco da disquisire… funziona così! Aver chiaro chi e perché abbia dato un «mozzico» all’Apple conta relativamente, l’importante è che quella lacuna ci sia, e che La Mela sia chiaramente mela, quella mela, e non ciliegia o pera; il contorno contribuiranno a definirlo tempo, eventi, attribuzioni. Consolandomi del fatto che è condizione comune agli addetti — causa troppa frequentazione grafica —, confesso che mi capita di avere qualche problema ad arrestarmi alla superficie funzionale della riga tipografica, alla convenzione del segno. Spesso l’occhio fugge sugli innumerevoli rapporti che si instaurano fra le componenti minute. In questo caso, in un intrico reminiscente di lacerti di tipizzazioni e di classi stilistiche, personalmente intravvedo evocate una M e una C: stilate, magari intenzionali, (Milano-Cortina?). Tragicamente anche a me non può sfuggire il più comune «zb»… o «zg»! Si percepisce un tentativo di dinamica suggestiva, il senso è però incerto, più di scopiazzatura mal riuscita in accrocchio iper voluminoso e grossolano. Solo a posteriori, e molto a fatica, provo a giustificare gancio e occhiello delle due cifre che si vorrebbero, 2 e 6, e che di natura vivrebbero più di curve che di spigoli. Osservo favorevolmente che in secondarie applicazioni dell’emblema si è presa la via di meno problematiche variazioni piane e profilate, riferite più a dinamica e figurazione che a grafema, eludendo in parte le difficoltà percettive e di proporzioni mal gestibili. Nelle grafiche originarie, le cifre risultano più facili nella declinazione scura, pure di discutibile cromia. In quella sgraziatamente nivea, invece, serve davvero molta buona volontà... e poca abitudine ai tipi. Sono dunque grafemi o macchie di Rorschach?


connotati
Una delle qualificazioni primarie dei tipi alfabetici è la loro estetica, in altre parole l’impressione che immediatamente essi evocano alla vista. Riferendosi a persone si userebbe forse il termine «presenza», che trattando di alfabeti prende il nome tecnico di «connotazione». Sintesi di una molteplicità di altri attributi, in tipografia costituisce categoria globale specifica, osservata e determinante specie quando l’uso delle lettere non è in prima istanza finalizzato alla comunicazione testuale. Venendo a noi, solo chi mai avesse visto neve potrebbe convincersi che lo stecchito tracciato dell’emblema ne possa davvero evocare la mutevole sostanza. Ma anche la sezione logotipica estesa, la cosiddetta scritta, benché parte relativamente più solida della composizione, non lesina di indurre motivi di perplessità connotative. Forse che nei grafemi di apertura e chiusura, in quei giustapposti montanti inclinati, davvero si sia ricercata una così ingenua, puerile ed estenuantemente trita evocazione di profili montani? Suggestioni frettolose esposte senza troppo pudore a visibilità mondiale? Pone interrogativi anche la tessitura, striminzita e fitta, che magari avrebbe goduto di accostamenti (nel senso tecnico del termine) più generosi, accortezza che in genere si associa a questi impieghi delle lettere capitali. Compensa in parte la relativa espansione dell’impatto orizzontale, considerato globalmente, data appunto dal protendersi dei suddetti montanti. Com’è noto, gestendo rapporti praticamente univoci, nei logotipi vale spesso la pena superare taluni vincoli che regolano invece le lettere per gli alfabeti, ottimizzando così il disegno in modo più puntuale e specifico, ad esempio negli spessori. Qui lo sforzo forse è stato fatto ma il risultato è debole: da ricalibrarsi perlomeno l’orizzontale della T e di nuovo i montanti esterni di A ed M che paiono sfuggenti e otticamente perfettibili. L’augurio è che dipenda dalla qualità di queste prime versioni digitali che si sono potute visionare. Valutando alla data odierna, viste le entusiastiche autocelebrazioni, sembra tuttavia poco corroborabile la sincera speranza che, progetto a parte, almeno un po’ di qualità tecnica possa infine sopraggiungere a copertura. Del resto, come diceva un mio tollerante maestro, un’imperfezione puntuale non è sempre un male, crea dinamica. Tuttavia se di punto si trattasse qui sarebbe dilagante. A sancire definitivamente uno «stile» ci pensano infatti le quattro cifre che chiudono inferiormente la parte originale del logo. In questa collocazione sarebbe stato necessario applicarsi un po’ di più, caratterizzando la grafica in modo non così scontato. Detto ciò, anche a voler sospendere il giudizio sulla connotazione stilistica, i connotati tecnici paiono proprio stentare.


quasibuono
Anche se esula lo specifico in esame, va annotato che dell’operazione qualcosa da salvare c’è. L’assetto grafico affidato al web è infatti di altra caratura: complessivamente adeguato, chiaro, fruibile, attrattivo, tale da porre in secondo piano i vizi di immagine che si trascinano con il logo. Apprezzabile anche la comunicazione veicolata attraverso le due mascotte gemelle, in particolare quella centratissima associata al turno paralimpico. Qui diverse scelte paiono ben azzeccate, e si sarebbero potute esaltare ulteriormente nella rielaborazione grafica. Pur senza tradire lo spirito della bozza originaria, un segno diversamente sostanziato avrebbe infatti potuto caratterizzare uno stile meno scontato. Autorevoli esempi hanno dimostrato che proprio lavorando direttamente a contatto con i più giovani, in cui stereotipi e deformazioni hanno avuto minor tempo per far attecchire radici, si può giungere a distillati espressivi di grande creatività e freschezza. Del resto i «cartoni» hanno spesso bisogno di rodaggio sul campo, di vivere un poco. Speriamo di qui agli eventi olimpici ci sia margine per una relativa maturazione.


viene da chiedersi
Possibile che nel processo creativo non si sia riflettuto sugli esempi immediatamente adiacenti? Che ne è stato dell’eloquente eleganza e della coerenza d’insieme espressa (almeno nella sezione principale) nel logo per le olimpiadi invernali del 20062 a Torino? Non ha ispirato nulla? Nemmeno un’altezza di registro progettuale?



Perché in un paese che non manca affatto di tradizione grafica, sensibilità e intelligenze, è dato non infrequente che la comunicazione istituzionale di eventi e iniziative di importanza strategica si concretizzi miseramente come occasione persa? Perché, così spesso, intervengono incertezze di focalizzazione e banalizzazioni di qualità, davvero poco giustificabili? Quali i perniciosi meccanismi che ineffabili si interpongono con irrilevata inettitudine? La risposta probabilmente è già nella considerazione d’apertura.

Il mio fraterno amico Alessandro, cui rinnovo ringraziamento anche per l’immagine che segue, di tanto in tanto mi partecipa di qualche pregevole evento in quel di Torino (e dintorni), luogo quasi mitologico per la tipografia: recentemente i Graphic Days, a rinnovare un appuntamento che reca esempi di molteplice natura grafica, interessanti e di spessore.

Graphic Days 2024

Possibile che queste ed altre testimonianze similmente significative restino di ispirazione solo ad una ristretta cerchia di addetti e cultori? Possibile che i ranghi direzionali siano attirati da altre «qualità»? Temo, anzi sono certo, che ai più la questione sia trasparente. Perché, tuttavia, quanti invece intendono, fra coloro che qualcosa potrebbero, spesso preferiscono non andare oltre silenziosissimi sguardi al massimo sdegnati? Quale il vincolo, quale la convenienza? Certo viviamo tempi complicati, e talora si potrebbe essere portati a pensare che le priorità siano ben altre. In realtà la dimensione culturale, non dovrebbe servire ribadirlo, è ambito da cui, e in cui, molte azioni prendono corpo ricadendo assai lontano.


cineserie
Dell’universo culturale cinese, e orientale in genere, ho conoscenza assai mediata e frammentaria, ma credo sufficiente a poterne almeno percepire lo spessore e la complessità. Allo stesso modo ho buona contezza di non esserne affatto affascinato o in sintonia, tantomeno nutro entusiasmi per codici linguistici — che sono fondamenti di pensiero — dei quali ammiro la densità ma non ho aspirazione di metodo. Si tratta di una realtà ricchissima di valori e di spunti, che però risulta assolutamente incompatibile con la nostra, cosiddetta occidentale, di cui non sembra condividere lo spazio-tempo. Più prosaicamente, ma fino a un certo punto, ne osservo con inquietudine l’insinuarsi tendenzialmente sfuggente e predatorio con esiti spesso concretamente distruttivi. Una premessa del tutto personale, piuttosto drastica, a fugare dubbi di condiscendenza nel giudizio sull’immagine identitaria dei precedenti giochi olimpici invernali, Pechino 2022, con cui il confronto qui si pone di necessità. Tanto ben riuscita e nobile che, a discolpa, per chi subito seguiva il compito si è fatto arduo. Sorta di pietosa continenza, ho preferito dunque trattare qui, a debita distanza, per evitare di trovarmi a giustapporne da vicino le rispettive grafiche. 

logo Olimpiadi Pechino 2022

Dalla presentazione ufficiale3  si ha indicazione dei grafemi 冬 «inverno» e 飞 «volare», riferimenti ideali rispettivamente degli emblemi olimpico e paraolimpico, e una dettagliata descrizione dell’articolato simbolismo figurativo e valoriale veicolato nella loro elaborazione. Dalla nostra prospettiva questo però non è il dato principale. La questione si eleva in altre dimensioni: siamo di fronte, infatti, ad un esempio magistrale che evidentemente chi poi ha ricevuto il testimone non ha saputo osservare né cogliere come esempio nelle raffinate particolarità. Sopra tutto, considerate le tensioni di contesto palesi e latenti, risulta eccezionale il risultato di sintesi linguistica raggiunto, in grado di produrre un’identità universalmente indirizzata e fruibile senza per questo rinunciare a nulla, proprio a nulla, dei distintivi nativi, della propria essenza culturale. Così nella stesura e nella figuratività del tratto grafico, nella dinamica di geometrie e cromie, nell’equilibrio e nella coerenza all’interno delle distinte sezioni tanto quanto nel quadro d’insieme. Emblema e logografia assolvono distintamente le specifiche funzioni pur condividendo medesima sostanza. Le declinazioni olimpica e paraolimpica dialogano tra loro in una sorta di accennato contrappunto, trasmettendo significati su più piani figurativi, al tempo stesso ponendosi in consonanza con gli emblemi di riferimento generali collocati inferiormente. Vi è coscienza di simboli e significati, di pesi e spazi, di moto e pause, di intensità e leggerezza, cui si aggiungono raffinatezze grafiche ed attenzioni sottili, come ad esempio quelle che pur nella fusione consentono la perfetta individuazione dei singoli segni, dei singoli tratti. Dimostrazione di una meditata consapevolezza degli obiettivi e delle necessità funzionali, nonché tecnica. Infine si realizza, senza interposizione di «traduzioni», una sorta di bolla comunicativa sincretica, di immediata (non mediata) condivisione linguistica. Direi non eccessivo definirla un’opera perfetta.


e noi?
Fra scelte scellerate non facciamo altro che parlarci addosso e divagare, temporeggiare... governati da interessi personalistici ed estranei, spesso non mancando di condire il tutto con trovate di comunicazione più adatte a italico Zelig che a diffusione internazionale. Così potrebbe accadere che, di fronte a recenti «meraviglianti» scempi di comunicazione, alla Venere botticelliana venga di celarsi il volto più che le pudenda, per tentare di non farsi riconoscere. Nel nostro caso si mischiano puerilmente guglie gotiche con bricchi montani e si vagheggia una improbabile Cortina a sfondo di Rialto o S. Marco, e viceversa. Ciò senza nemmeno intendere che avendo lasciato se ne facesse svergognatamente mercato — ora perfino malsicuro luna park ad ingresso giornaliero —, colà dove giunse il Polo non c’è bisogno di menzionare Venezia: da tempo già la possiedono ampiamente, in tutti i sensi e in tutti i modi. A noi sembra non sia restata neanche la cura di voler fare in proprio un logo, e di farlo come si deve.

Ti gà capio?!

 

 

 

gac


 



  1. Emblemi soggetti a rispettivo copyright tratti dalla pagina ufficiale di presentazione evento:  Milano-Cortina 2026=>  ^rif.
  2. Emblemi soggetti a rispettivo copyright tratti dalla pagina ufficiale di presentazione evento: Torino 2006=>   ^rif.
  3. Emblemi soggetti a rispettivo copyright tratti dalla pagina ufficiale di presentazione evento:  Beijing 2022=>  ^rif.